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La pianta della Cannabis e alcune delle sue proprietà terapeutiche

CARATTERISTICHE DELLA PIANTE

Esistono 3 specie di Cannabis:​

  • La Satìva: pianta snella e alta con foglie più fine e allungate;
  • L’ Ìndica: pianta tozza e più bassa, dal fogliame più denso e dalla forma più tondeggiante
  • La Ruderalis, specie un più rara che cresce nelle zone fredde dell’Asia Centrale.

La pianta si presenta come un arbusto. La radice è “a fittone”, presenta cioè un corpo cilindrico e ramificato ben impiantato nel terreno. Il fusto si compone di una parte fibrosa esterna e una parte interna legnosa e rigida. Le foglie sono palmate ciascuna composta dalle 5 alle 13 foglioline che presentano margine seghettato. Il Composto chimico THC che provoca alterazioni mentali si trova solo nella foglia e nel fiore.

Dall’avvolgimento del fusto si ricava la fibra con cui si producono cordami e tessuti. Questi ultimi possono risultare molto diversi. A seconda della lavorazione e del metodo di coltivazione si possono infatti ottenere tessuti molto grezzi, come il retro dei tappeti, oppure a tessuti assai raffinati simili alla seta.

Il seme della Cannabis può essere usato come base alimentare ad esempio sotto forma di farina o di olio, quest’ultimo ricco di proteine, carboidrati e acidi grassi essenziali come l’omega 3 e l’omega 6. L’olio può diventare un ottimo combustibile perfino come carburante delle automobili sotto forma di etanolo.

PROPRIETÀ MEDICHE DELLA CANNABIS

Le proprietà mediche della Cannabis sono note fin dall’antichità. È però solo a partire dal 1964, con la scoperta da parte di Ralph Mechoulam del THC (Tetraidrocannabinolo, uno dei maggiori principi attivi della pianta), che si portarono alla luce dettagli fondamentali per lo studio e l’impiego di questa erba a scopo terapeutico. Quando poi, dopo altri due decenni, si scoprì veramente come il THC si comporta con le cellule umane, quello che ne emerse fu sensazionale e per certi versi sconvolgente!

In un primo momento, si pensava infatti che il THC agisse come un analgesico e cioè inferendo con le membrane delle cellule. In realtà, il THC si comporta legandosi specificamente a due tipi di recettori (chiamati CB1 e CB2), che si trovano in prevalenza nel midollo spinale e nelle cellule cerebrali. La presenza in gran quantità nel cervello umano di questi recettori spinse i ricercatori ad approfondire gli studi. Come mai quel gran quantitativo di recettori nel nostro cervello? Affinché interagissero eventualmente con i composti di una pianta? Sembrò poco credibile un’ipotesi del genere. Doveva esserci di più.

L’approfondimento della ricerca scientifica, dunque, portò a scoprire e individuare dei composti chimici endogeni (prodotti direttamente dal nostro corpo) che, per le loro caratteristiche, sono molto simili al THC e che per questa somiglianza, furono chiamati endocannabinoidi. Ecco dunque la risposta: il nostro corpo produce dei “composti” molto simili al THC delle piante di Cannabis. Proprio questi “composti”, gli endocannabinoidi, regolano l’assorbimento energetico, il movimento degli elementi nutrienti, il loro metabolismo e la loro conservazione. Per di più, regolano diverse funzioni del sistema nervoso, dell’apparato cardiaco, del sistema riproduttivo e di quello immunitario. Aiutano poi il sistema nervoso a comunicare, funzionando come messaggeri fra una cellula e l’altra.

Il sistema degli endocannabinoidi rappresenta qualcosa di unico che accade nel nostro organismo.

Il Dottore italiano Di Marzo, sintetizza così le attività degli endocannabinoidi: rilassano, ci aiutano a mangiare, a dormire, a dimenticare e ci proteggono.

Qual è allora il parallelismo fra gli endocannabinoidi e i cannabinoidi prodotti dalla pianta della Cannabis?

Grazie alla loro somiglianza con i composti endocannabinoidi, i cannabinoidi della pianta possono fungere da sostituti per quelli del nostro sistema[1].

Secondo molti medici i cannabinoidi risultano inoltre antitumorali. Il Dott. Donald Tashkin, ricercatore all’università di Los Angeles ha dimostrato, ad esempio, che l’incidenza di tumore ai polmoni nelle persone che fumano Cannabis è minore rispetto all’incidenza del tumore nelle persone che non la fumano.

 Diverse ricerche scientifiche descrivono i modi in cui i cannabinoidi agiscono uccidendo specificatamente e selettivamente le cellule cancerose.

​Le proprietà dei cannabinoidi vengono suddivise in diverse categorie, fra cui abbiamo:

  • Effetti anti proliferanti: fermano la riproduzione delle cellule cancerose
  • Effetti antiangiogeni: impediscono al tumore di sviluppare nuovi vasi capillari che aiutano il tumore a crescere[2]
  • Effetti antimetastatici: impediscono alle cellule cancerose di trasmettersi in altri tessuti
  • Effetto apoptotico: accelerano la morte delle cellule anomale[3] spesso grazie a un particolare meccanismo di autofagia cellulare[4]

La pianta di Cannabis contiene circa 400 composti chimici, di cui circa 100 cannabinoidi. Fra questi, 4 sono considerati i più importanti:

  1. il THC (che si trova nelle compagini oleose che crescono sul fiore della pianta). Il THC è il principale responsabile dello stato di euforia nel fumatore di Marijuana;
  2. il CBD che modera l’effetto euforico del THC con un effetto sedativo calmante. Aiuta a proteggere nervi ed è di ausilio contro l’ansia e la psicosi, funge come antinfiammatorio, analgesico, combatte il diabete ed è di ausilio contro i tumori. (Quella che per molti anni è stata considerata una pianta che favorisce la psicosi possiede in realtà un composto antipsicotico);
  3. THCV combatte il diabete di tipo due e ha un effetto preventivo contro alcuni tumori, accelera il raggiungimento dello stato di euforia ma al contempo ne riduce la durata (si trova soprattutto in certe colture di Cannabis del Sudafrica e della Tailandia);
  4. CBC ancora poco conosciuto, sembra in grado di combattere stati di depressione e pare sia inibitorio contro i tumori al seno e leucemia.


[1] Velasco,Sanchez,Guzman Anticancer Mechanism of cannabinoids Published online2016 Mar 16

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4791144/

[2] Portella G, Laezza C, Laccetti P, De Petrocellis L, Di Marzo V, Bifulco M FASEB J. 2003 Sep;17(12):1771-3

[3] Review Towards the use of cannabinoids as antitumor agents. Velasco G, Sanchez C, Guzman M Nat Rev Cancer. 2012 May 4; 12(6):436-44

[4] Armstrong JL, Hill DS, McKee CS, Hernandez-Tiedra S, Lorente M, Lopez-Valero I, Eleni Anagnostou M, Babatunde F, Corazzari M, Redfern CPF, Velasco G, Lovat PE J Invest Dermatol. 2015 Jun;135(6):1629-1637

NB. Come si è scritto, studi recenti hanno dimostrato che i cannabinoidi possono inibire la crescita tumorale inducendo l’apoptosi, ovvero la morte programmata delle cellule maligne. Inoltre, sono stati dimostrati effetti antiangiogenici (cioè di blocco dello sviluppo dei vasi sanguigni che favoriscono la crescita tumorale). È bene chiarire che questi studi sono in via di sviluppo e che questo articolo non ha fini medici ma solo illustrativi, di carattere generico.

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La storia della canapa – ITALIA

In Italia la canapa è stata utilizzata per millenni. Testimonianze dell’uso di questa pianta sono pervenute dall’analisi di pipe preistoriche ritrovate in Piemonte e contenenti proprio tracce di canapa. Negli anni ’50 l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica).

Oltre centomila ettari di terre coltivate per un prodotto utilizzato quasi soltanto per fini tessili. La varietà “Carmagnola” in particolare era un prodotto apprezzatissimo perché forniva una fibra di alta qualità e molto resistente. La coltura della canapa per usi tessili ha comunque un’antica tradizione in Italia e fu in gran parte legata all’espandersi delle Repubbliche marinare, dove si utilizzava per le corde e le vele delle proprie flotte.

La pianta inoltre fu per lungo tempo utilizzata come principale risorsa per la produzione di carta, di sostanze oleose (combustibile per l’illuminazione e l’energia), di mangimi per il bestiame e persino a scopo terapeutico[1].

Il professor Raffaele Valieri nel 1887 compì ad esempio importanti ricerche sul valore terapeutico della canapa coltivata in Campania per la cura dell’asma, arrivando persino ad aprire un “gabinetto di inalazione”, che veniva riempito con il fumo prodotto dalla combustione della canapa e dove i pazienti di asma potevano trovare sollievo alla loro malattia.

A titolo di esempio, nel 1914 la produzione di canapa nella provincia di Ferrara arrivava a toccare i 363.000 quintali. Arrivava poi a toccare i 157.000 quintali nella provincia di Caserta mentre in provincia di Bologna si producevano 145.000 quintali. Si pensi ad esempio che la quasi totalità della carta era a quel tempo prodotta con canapa, i suoi semi davano un ottimo olio combustibile e in campo farmaceutico le sue applicazioni erano vastissime. Era normale comprare in farmacia l’estratto di canapa indiana proveniente da Calcutta e i sigaretti di canapa indiana per la cura dell’asma.  

L’anno fatale per la produzione di Cannabis in Italia fu per l’appunto il 1961, quando fu siglata a New York quella che in Italia fu conosciuta come “Convenzione unica dell’ONU sugli stupefacenti”: la Cannabis fu considerata una droga pesante e per questo tassativamente proibita. Ebbe inizio un’era di stigmatizzazione molto forte che vedeva la pianta di Cannabis trasformarsi in un vero e proprio tabù.

Nel 1975 esce la “legge Cossiga” che considerava la canapa come sostanza stupefacente in tutte le sue accezioni anche per quanto riguardava le produzioni tessili, alimentari e cosmetiche. Scompaiono pertanto anche gli ultimi ettari coltivati a canapa. Si decreta così la fine di una coltivazione scomoda a troppe lobby. Nel 1994 e 1995 la sola canapa coltivata ufficialmente in Italia, sotto lo stretto controllo delle forze dell’ordine, è stata quella presso l’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente), organismo di ricerca statale. Tentativi di ricerca a scopo didattico (in Emilia e in Valle d’Aosta) sono stati repressi.

Ad oggi sono pochi gli usi delle fibre di canapa, utilizzate prevalentemente in forma grezza come imbottitura e per assicurare la tenuta dei collegamenti delle tubazioni idrauliche. Sta però sempre più emergendo la tendenza a rilanciare la coltura di canapa, valorizzando in particolare la sua capacità di fornire grandi quantità di cellulosa, che può essere impiegata nell’industria cartaria, per la preparazione di carta di pregio.  I pesticidi per i pioppi (che servono alle cartiere) sono fra i più tossici esistenti.  Va ricordato che l’Italia, in seguito ad uno studio presentato alla CEE, dal 1977 riceve un contributo dalla Comunità Europea per coltivare canapa per la produzione di carta.

Oggi in Italia la coltivazione e l’uso della canapa è regolamentato dalla legge n° 242 del 2 dicembre 2016, entrata in vigore il 14 gennaio 2017 e che recita:

[..] Il sostegno e la promozione riguardano la coltura di alcune varietà di canapa ammesse finalizzata:

– alla coltivazione e alla trasformazione;

– all’incentivazione dell’impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;

– allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l’integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;

– alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;

– alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca. […]


[1] E. Novellino, A. Cuomo, A. Miro, E. Menditto, V.m Orlando, F. Guerriero, R. Colonna, V. Iadevaia – Farmaci Oppioidi e Cannabis nella Terapia del Dolore

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La storia della canapa – PROPAGANDA ANTI-CANNABIS E SVILUPPI SUCCESSIVI

Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, tuttavia la percezione pubblica cambiò e la “pianta miracolosa”, la Cannabis si convertì in “pianta demoniaca”. In quel tempo, infatti il magnate del giornalismo rosa W.R Hearst aveva acquistato milioni di ettari di foresta da legname tramite cui produceva la carta per i suoi giornali. Il suo impero con il ritorno della carta di canapa (meno costosa di quella prodotta dagli alberi grazie alle novità tecnologiche) sarebbe stato minacciato.

Un’altra figura che non avrebbe certo tratto vantaggio dal ritorno in auge della Cannabis era Dupont proprietario della società petrolchimica che aveva recentemente ottenuto i brevetti per creare dozzine di fibre sintetiche dal petrolio: nylon, dacron, cellophane e spugne sintetiche, tutti prodotti che sarebbero stati facilmente soppiantati da articoli realizzati con la canapa.

Sia Hearst, sia Dupont, inoltre, erano finanziati da uno dei più potenti banchieri dell’epoca, Andrew Mellon anche proprietario della Gulf oil, una delle “sette sorelle”. Le compagnie petrolifere che avevano investito ingenti somme di denaro sul petrolio rischiavano di veder svanire tutti i loro investimenti proprio a causa della Cannabis che poteva essere utilizzata per produrre combustibile certamente più pulito ed economico.[1] In quel periodo, inoltre, giocò un ruolo altrettanto rilevante l’industria farmaceutica, finanziata da altri due potenti banchieri: Rockfeller e Carnogie. Entrambi volevano eliminare dalla farmacopea tutte le cure a base vegetale (ivi compresa la Cannabis) a favore delle medicine prodotte in laboratorio. Per di più, Rockfeller, era anche proprietario della Standard oil che aveva già iniziato a “invadere” l’America con le sue raffinerie e le sue stazioni di servizio. In breve tempo, quindi, la Cannabis venne identificata come un vero e proprio pericolo economico per l’industria del tessile, della plastica e derivati, per l’industria farmaceutica e per quella petrolchimica. Divenne un vero e proprio nemico da soppiantare al più presto.

A livello politico fu avviato quindi un vero e proprio piano anti-Cannabis che mirava a screditare l’utilità e perfino l’innocuità della pianta. Andrew Mellon, che in quel periodo era anche ministro del tesoro, ebbe la possibilità di nominare alla direzione dell’ufficio narcotici Anslinger[2] (che sarebbe diventato suo futuro genero) che aveva esattamente il compito di eradicare al più presto la Cannabis in tutta la nazione.[3]

Ovviamente non si poteva di punto in bianco demonizzare la Cannabis, fino a quel momento vista molto più che positivamente. Hearst allora cominciò a etichettare la pianta con il nomignolo messicano di Marijuana. In questo modo l’opinione pubblica, spesso caratterizzata da un forte sentimento di razzismo e xenofobia nei confronti dei messicani, dei neri, dei filippini e degli ispanici in generale, cominciò ad associare la Marijuana a questioni poco affidabili, spesso spaventose e perfino pericolose[4].

La propaganda di diffamazione alla Marijuana in poco tempo plasmò quindi un nuovo mostro da perseguire. “Marijuana” (denominata anche “reefer”) divenne ben presto sinonimo di peccato, perversione, pericolo vero e proprio, mezzo tramite cui la popolazione che ne faceva uso avrebbe di fatto sviluppato una forte dipendenza, iniziando di lì a poco a usare droghe come l’eroina e la cocaina. Chi faceva uso di Marijuana, in preda a un presunto e tanto decantato stato di assuefazione, avrebbe potuto commettere crimini di natura sessuale, omicidi e perfino suicidarsi.[5]

Questa meticolosa e potente campagna antidroga servì comunque da fase preliminare, attività preparatoria per abolire la Canapa. Ben presto fu infatti presentata una nuova legge che proibiva l’intera coltivazione della pianta in tutta la nazione. Nonostante l’effetto psicotropico derivi solo dalle infiorescenze, non a caso ad essere bandita da tutta l’America fu l’intera pianta. Influenzati e spaventati dalla propaganda, spesso chi la demonizzava non era nemmeno al corrente che con il termine Marijuana si intendesse di fatto la pianta di canapa. Senatori e deputati, non certo esperti di erboristeria o di botanica ne ignoravano la corrispondenza. Nel 1937, senza il supporto di ricerche scientifiche, il Marijuana Tax Act fu approvato dal presidente Roosvelt, causando innumerevoli arresti clamorosamente resi pubblici. Iniziava ufficialmente il periodo di proibizioni.

In pochi si opposero realmente a questa demonizzazione, fra questi però il sindaco di New York Fiorello La Guardia decise di commissionare uno studio che durò ben 5 anni portato avanti da ben 31 scienziati indipendenti che realizzarono la prima indagine scientifica sugli effetti della Marijuana. Lo studio fu pubblicato nel 1944 e dimostrava come la Marijuana non causasse particolari effetti dannosi sulla salute, né sull’incremento del desiderio sessuale incontrollato, che secondo la precedente campagna antidroga portava gli uomini ad abusare delle donne e le donne a concedersi a uomini di colore senza nessun pudore. Il rapporto La Guardia smentiva inoltre la teoria del passaggio, secondo cui i fruitori di Cannabis sarebbero incoraggiati dall’assunzione della sostanza a fare successivamente uso di droghe pesanti. Sullo studio fu gettato discredito da Anslinger che lo bollò attraverso la stampa come “non scientifico”. Le condanne per possesso di Marijuana si inasprirono, arrivando in alcuni casi perfino all’ergastolo[6] .

Anslinger, forte del potere negoziale che gli Stati Uniti potevano esercitare a livello globale, nel 1961 convinse l’Onu a sottoscrivere la Convenzione Unificata di Droghe e Narcotici a cui aderirono oltre 150 Stati. La Convenzione istituiva un tribunale internazionale per il controllo degli stupefacenti e impegnava tutte le nazioni a bandire la canapa.

Sul finire degli Anni ’60 la Marijuana divenne, nonostante ciò, il simbolo della Rivoluzione Giovanile. L’immagine di quei ragazzi che predicavano la pace e la tolleranza cozzava non poco con l’idea di criminalità e depravazione che tanto si era voluto demonizzare qualche decennio prima. Quando il presidente Nixon nel 1968 vinse le elezioni, con l’obiettivo di dare una risposta al movimento che chiedeva la decriminalizzazione della Cannabis, decise di istituire una commissione incaricata di effettuare una ricerca scientifica per approfondire gli effetti che la Marijuana potesse avere sul soggetto che ne facesse uso. Nel 1972 la commissione Shafer che traeva il nome dal suo presidente, rese pubblico un report intitolato “Marijuana a signal of misunderstandung”, cui co direttore fu Richard Bonnie e dal quale emerse che non vi erano motivazioni tali da ritenere criminali i soggetti che facessero uso dell’erba. Nixon comunque, noto per la sua politica repressiva, non si curò dei risultati e anzi collocò la Marijuana nella categoria delle droghe pesanti più pericolose e senza alcuna utilità terapeutica. ll giudice amministrativo Francis Young aprì quindi un’inchiesta sulla validità di questa collocazione concludendone che si trattava di una decisione irragionevole, arbitraria e infondata.

Nel frattempo, anche in Inghilterra fu avviata un’indagine sul consumo di Cannabis che fu affidata alla baronessa Wootton, criminologa e sociologa del tempo che aveva collaborato con il governo inglese. I risultati emersi furono molto simili all’indagine commissionata da Nixon: non vi era nessuna conseguenza diretta fra i l’uso di Cannabis e la criminalità.

Nixon, nonostante ciò, rimase ferreo nelle sue decisioni e anzi implementò questa politica per ostacolare l’uso di Cannabis istituendo la DEA un istituto federale per combattere il traffico e l’uso della droga. La DEA, che beneficiava delle più recenti tecnologie come il controllo delle conversazioni telefoniche private, ben presto divenne un modo per controllare minoranze etniche e chiunque assumesse posizioni sgradite alla Casa Bianca.

Se da un lato quindi la politica americana si mostrava molto repressiva su questa tematica, dall’altro l’uso della Marijuana cominciava ad estendersi non più solo fra i giovani ma anche fra le classi sociali più abbienti. Fu infatti proprio negli anni ’70 che cominciarono a proliferare movimenti attivisti che chiedevano la decriminalizzazione della Marijuana. Fu lo Stato dell’Oregon, nel 1973 a decriminalizzare per primo l’uso della Marijuana. Sarebbe stato seguito da altri 10 stati in pochi anni.

Quando Nixon si ritirò dalla scena politica, il democratico Jimmy Carter, che gli successe alla presidenza, adottò posizioni più miti. Pur schierandosi apertamente a favore della legalizzazione della Marijuana, tuttavia, non riuscì a fare molto nei suoi 4 anni di presidenza e quando salì alla Casa Bianca di nuovo un repubblicano, Regan, la lotta alla Marijuana riprese con più energia di prima. La situazione non migliorò affatto nemmeno con John H. Bush che grazie alla DEA, divenuta ormai una vera e propria macchina del terrore, potenziò le misure contro la Marijuana.

Furono riposte molte speranze quindi sul democratico Bill Clinton ma anche quest’ultimo durante gli anni di presidenza, lasciando tutti sorpresi, continuò a battersi contro la Marijuana e il suo primo ministro Jane Reno arrivò a minacciare di revocare le licenze ai medici che avessero prescritto la Cannabis a scopo terapeutico.

Alla fine del mandato di Clinton, con George W. Bush la situazione restò invariata e si dovette aspettare l’elezione del Presidente Obama per subodorare qualche cambiamento. Tuttavia nessuna vera misura a favore della Marijuana è stata realmente presa e anzi, quando nel 2010 la California si batteva per la Proposition 19, con la quale si proponeva per le persone maggiorenni, di normalizzare il possesso di Marijuana fino a un’oncia, quasi 30 grammi, come pure la coltivazione delle piante in vasi per un massimo di circa 2,30 metri quadrati, la Casa Bianca ricordò che la pianta continuava a rientrare fra le droghe pesanti. Parallelamente in Europa la situazione cominciava a cambiare. Il caso più noto è ad esempio quello dell’Olanda dove lo Stato si occupa più di combattere i trafficanti che i possessori e i consumatori. L’esempio più ardito arriva però dal Portogallo che ha deciso di decriminalizzare l’uso di qualsiasi droga dal 2001. Se un consumatore viene fermato, gli viene richiesto di presentarsi presso una commissione speciale per le droghe dove gli verranno spiegati i rischi e offerte, nel caso delle droghe pesanti, le cure e dove non dovrà preoccuparsi di affrontare il rigido sistema giudiziario che invece utilizzano altri Stati.[7][


[1] Jonathan P. Caulkins, Angela Hawken, Beau Kilmer, Mark Kleiman Drug Policy: What Everyone Needs to Know-Oxford Press

[2] http://news.bbc.co.uk/2/hi/programmes/panorama/4079668.stm

[3] https://www.seniorstoner.com/education/anslinger-hearst-rockfeller-cannabis-history

[4] The Pot Book: A Complete Guide to Cannabis – Editore Julie Holland

[5] Larry “Ratso” Sloman, Reefer Madness: A History of Marijuana – St. Martin’s Press, 1998

[6] Https://nyamcenterforhistory.org/2015/04/25/marijuana-regulation-the-laguardia-report-at-70/

[7] https://www.drugsandalcohol.ie/24525/

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La storia della canapa – DAGLI ANNI ’30

I problemi della Cannabis iniziarono negli anni ’30 nel periodo della rivoluzione industriale. In America era nato il movimento della Chemiurgia che proponeva di integrare la produzione industriale con la produzione agricola e i prodotti vegetali che, in questo modo, avrebbero funto da materie prime.

Nel 1941 lo stesso Henry Ford progettò dopo diversi anni di studio e coadiuvato da un team di ingegneri, un’automobile costruita quasi interamente da prodotti vegetali fra cui dalla Cannabis. Persino la carrozzeria era realizzata da una speciale plastica biodegradabile ben più resistente dell’attuale carrozzeria in materiali metallici.

Il prototipo fu esibito al Dearborn Days festival di Dearborn, Michigan, città natale di Ford e presentato al Michigan State Fair Grounds, nello stesso anno. A causa della seconda guerra mondiale e la poco successiva morte di Ford, quella che fu ricordata come “Hemp Body Car” non fu mai messa in commercio e il prototipo pare esser stato distrutto.

«Perché consumare foreste che hanno impiegato secoli per crescere e miniere che hanno avuto bisogno di intere ere geologiche per stabilirsi, se possiamo ottenere l’equivalente delle foreste e dei prodotti minerari dall’annuale crescita dei campi di canapa?» È così che si esprimeva Ford.

Se si pensa in effetti che con un solo ettaro coltivato si possono produrre ben 25 tonnellate di biomassa questa potenzialità prodigiosa si conferma veritiera. Per di più la Cannabis è una pianta molto resistente, dalla notevole capacità di adattamento nei confronti del clima e del terreno. La sua coltivazione non necessita di particolari diserbanti e pesticidi e la sua crescita è molto veloce. Il canapaio lascia il terreno ben rinettato dalle male erbe per effetto soffocante della sua vegetazione rigogliosa e fitta. Anche sotto l’aspetto fisico-meccanico, il terreno dopo il canapaio si trova in ottime condizioni, grazie all’azione perforante esercitata dai fittoni (radici) della pianta e all’effetto protettivo della densa vegetazione che impedisce l’azione costipante della pioggia sul suolo.

Le già grandi potenzialità della pianta si innalzarono ancor più quando fu inventata una macchina denominata “decorticatore”. Se fino a quel momento infatti l’estrazione della fibra dalla pianta andava fatta a mano, rallentando notevolmente i tempi di produzione con un conseguente incremento dei costi, con il decorticatore che riusciva velocemente a separare la fibra dal fusto, l’uso della canapa come risorsa per l’industria divenne estremamente competitivo.

Una famosa rivista la “Popular Mechanics” pubblicò nel 1938 un articolo dal titolo “Billion dollar crop” nel quale si prospettava uno strepitoso rilancio a livello mondiale della coltivazione di Cannabis.

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La storia della canapa – DAGLI ALBORI

Fin dagli albori delle prime civiltà, la Cannabis veniva usata per la produzione di tessuti, di carta, di cibo e materiale combustibile. Fungeva persino da rimedio medicinale ed era così utile per la vita dell’uomo che veniva soprannominata “pianta miracolosa”, “sorella dell’uomo”, “dono divino”.

L’uso di carta di Cannabis ad esempio risale al 4.000 a.C. durante l’impero cinese.

Inoltre, l’imperatore cinese Shennong (神农), fondatore, secondo la tradizione, della medicina cinese prescriveva cure a base di Cannabis per fronteggiare reumatismi, malaria e dolori mestruali e i suoi soldati usavano foglie di Cannabis per medicare le proprie ferite.

In India è stata per secoli usata nella medicina ayurvedica per curare epilessia, coliche, bronchiti, anoressia, problemi di milza, diabete e asma.

In Europa, la Cannabis era già da tempo conosciuta. Veniva impiegata con continuità per vari utilizzi, si usava carta di Cannabis, ad esempio, già sotto l’impero di Carlo Magno nell’VIII secolo. Fu però nei primi del Novecento che iniziò ad essere usata come medicina, quando i dottori che tornavano dall’Asia iniziarono a preparare rimedi utili ad alleviare i sintomi del tifo, del tetano e di altre infezioni. Nel 1890 lo stesso medico della Regina Victoria John Russel Reynolds dichiarò che quella che poi fu conosciuta come Marijuana, se usata equilibratamente, poteva essere considerata fra le medicine più importanti[1]. In effetti, alla fine del XIX secolo più del 30% delle medicine era a base di Cannabis.


[1] “The Handbook of Cannabis Therapeutics: From Bench to Beside” a cura di Ethan B. Russo, Franjo Grotenhermen, Ed. 2014 – Pag 37

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La storia della canapa – INTRO

 

“Una droga decisamente non intossicante”. È così che la descrive il Dott. Lester Grinspoon, professore di psichiatria presso l’università di Harvard, che dal 1967 ha avviato un’attività di ricerca sulla pianta della Cannabis.[1]

E allora perché l’opinione pubblica sulla Cannabis al giorno d’oggi è così controversa?

Sono sempre più numerosi i ricercatori scientifici e i medici che decidono di schierarsi a favore della sua legalizzazione ma solo pronunciare il nome “Cannabis” scinde in due il pensiero comune. La Cannabis fa discutere, rappresenta un argomento problematico e spesso pieno di incertezze. Come mai?

Facciamo insieme un passo indietro…

[1] Lester Grinspoon in collaborazione con James B. Balakar “Marijuana, la medicina proibita” – Editori Riuniti, 2002