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La storia della canapa – PROPAGANDA ANTI-CANNABIS E SVILUPPI SUCCESSIVI

Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, tuttavia la percezione pubblica cambiò e la “pianta miracolosa”, la Cannabis si convertì in “pianta demoniaca”. In quel tempo, infatti il magnate del giornalismo rosa W.R Hearst aveva acquistato milioni di ettari di foresta da legname tramite cui produceva la carta per i suoi giornali. Il suo impero con il ritorno della carta di canapa (meno costosa di quella prodotta dagli alberi grazie alle novità tecnologiche) sarebbe stato minacciato.

Un’altra figura che non avrebbe certo tratto vantaggio dal ritorno in auge della Cannabis era Dupont proprietario della società petrolchimica che aveva recentemente ottenuto i brevetti per creare dozzine di fibre sintetiche dal petrolio: nylon, dacron, cellophane e spugne sintetiche, tutti prodotti che sarebbero stati facilmente soppiantati da articoli realizzati con la canapa.

Sia Hearst, sia Dupont, inoltre, erano finanziati da uno dei più potenti banchieri dell’epoca, Andrew Mellon anche proprietario della Gulf oil, una delle “sette sorelle”. Le compagnie petrolifere che avevano investito ingenti somme di denaro sul petrolio rischiavano di veder svanire tutti i loro investimenti proprio a causa della Cannabis che poteva essere utilizzata per produrre combustibile certamente più pulito ed economico.[1] In quel periodo, inoltre, giocò un ruolo altrettanto rilevante l’industria farmaceutica, finanziata da altri due potenti banchieri: Rockfeller e Carnogie. Entrambi volevano eliminare dalla farmacopea tutte le cure a base vegetale (ivi compresa la Cannabis) a favore delle medicine prodotte in laboratorio. Per di più, Rockfeller, era anche proprietario della Standard oil che aveva già iniziato a “invadere” l’America con le sue raffinerie e le sue stazioni di servizio. In breve tempo, quindi, la Cannabis venne identificata come un vero e proprio pericolo economico per l’industria del tessile, della plastica e derivati, per l’industria farmaceutica e per quella petrolchimica. Divenne un vero e proprio nemico da soppiantare al più presto.

A livello politico fu avviato quindi un vero e proprio piano anti-Cannabis che mirava a screditare l’utilità e perfino l’innocuità della pianta. Andrew Mellon, che in quel periodo era anche ministro del tesoro, ebbe la possibilità di nominare alla direzione dell’ufficio narcotici Anslinger[2] (che sarebbe diventato suo futuro genero) che aveva esattamente il compito di eradicare al più presto la Cannabis in tutta la nazione.[3]

Ovviamente non si poteva di punto in bianco demonizzare la Cannabis, fino a quel momento vista molto più che positivamente. Hearst allora cominciò a etichettare la pianta con il nomignolo messicano di Marijuana. In questo modo l’opinione pubblica, spesso caratterizzata da un forte sentimento di razzismo e xenofobia nei confronti dei messicani, dei neri, dei filippini e degli ispanici in generale, cominciò ad associare la Marijuana a questioni poco affidabili, spesso spaventose e perfino pericolose[4].

La propaganda di diffamazione alla Marijuana in poco tempo plasmò quindi un nuovo mostro da perseguire. “Marijuana” (denominata anche “reefer”) divenne ben presto sinonimo di peccato, perversione, pericolo vero e proprio, mezzo tramite cui la popolazione che ne faceva uso avrebbe di fatto sviluppato una forte dipendenza, iniziando di lì a poco a usare droghe come l’eroina e la cocaina. Chi faceva uso di Marijuana, in preda a un presunto e tanto decantato stato di assuefazione, avrebbe potuto commettere crimini di natura sessuale, omicidi e perfino suicidarsi.[5]

Questa meticolosa e potente campagna antidroga servì comunque da fase preliminare, attività preparatoria per abolire la Canapa. Ben presto fu infatti presentata una nuova legge che proibiva l’intera coltivazione della pianta in tutta la nazione. Nonostante l’effetto psicotropico derivi solo dalle infiorescenze, non a caso ad essere bandita da tutta l’America fu l’intera pianta. Influenzati e spaventati dalla propaganda, spesso chi la demonizzava non era nemmeno al corrente che con il termine Marijuana si intendesse di fatto la pianta di canapa. Senatori e deputati, non certo esperti di erboristeria o di botanica ne ignoravano la corrispondenza. Nel 1937, senza il supporto di ricerche scientifiche, il Marijuana Tax Act fu approvato dal presidente Roosvelt, causando innumerevoli arresti clamorosamente resi pubblici. Iniziava ufficialmente il periodo di proibizioni.

In pochi si opposero realmente a questa demonizzazione, fra questi però il sindaco di New York Fiorello La Guardia decise di commissionare uno studio che durò ben 5 anni portato avanti da ben 31 scienziati indipendenti che realizzarono la prima indagine scientifica sugli effetti della Marijuana. Lo studio fu pubblicato nel 1944 e dimostrava come la Marijuana non causasse particolari effetti dannosi sulla salute, né sull’incremento del desiderio sessuale incontrollato, che secondo la precedente campagna antidroga portava gli uomini ad abusare delle donne e le donne a concedersi a uomini di colore senza nessun pudore. Il rapporto La Guardia smentiva inoltre la teoria del passaggio, secondo cui i fruitori di Cannabis sarebbero incoraggiati dall’assunzione della sostanza a fare successivamente uso di droghe pesanti. Sullo studio fu gettato discredito da Anslinger che lo bollò attraverso la stampa come “non scientifico”. Le condanne per possesso di Marijuana si inasprirono, arrivando in alcuni casi perfino all’ergastolo[6] .

Anslinger, forte del potere negoziale che gli Stati Uniti potevano esercitare a livello globale, nel 1961 convinse l’Onu a sottoscrivere la Convenzione Unificata di Droghe e Narcotici a cui aderirono oltre 150 Stati. La Convenzione istituiva un tribunale internazionale per il controllo degli stupefacenti e impegnava tutte le nazioni a bandire la canapa.

Sul finire degli Anni ’60 la Marijuana divenne, nonostante ciò, il simbolo della Rivoluzione Giovanile. L’immagine di quei ragazzi che predicavano la pace e la tolleranza cozzava non poco con l’idea di criminalità e depravazione che tanto si era voluto demonizzare qualche decennio prima. Quando il presidente Nixon nel 1968 vinse le elezioni, con l’obiettivo di dare una risposta al movimento che chiedeva la decriminalizzazione della Cannabis, decise di istituire una commissione incaricata di effettuare una ricerca scientifica per approfondire gli effetti che la Marijuana potesse avere sul soggetto che ne facesse uso. Nel 1972 la commissione Shafer che traeva il nome dal suo presidente, rese pubblico un report intitolato “Marijuana a signal of misunderstandung”, cui co direttore fu Richard Bonnie e dal quale emerse che non vi erano motivazioni tali da ritenere criminali i soggetti che facessero uso dell’erba. Nixon comunque, noto per la sua politica repressiva, non si curò dei risultati e anzi collocò la Marijuana nella categoria delle droghe pesanti più pericolose e senza alcuna utilità terapeutica. ll giudice amministrativo Francis Young aprì quindi un’inchiesta sulla validità di questa collocazione concludendone che si trattava di una decisione irragionevole, arbitraria e infondata.

Nel frattempo, anche in Inghilterra fu avviata un’indagine sul consumo di Cannabis che fu affidata alla baronessa Wootton, criminologa e sociologa del tempo che aveva collaborato con il governo inglese. I risultati emersi furono molto simili all’indagine commissionata da Nixon: non vi era nessuna conseguenza diretta fra i l’uso di Cannabis e la criminalità.

Nixon, nonostante ciò, rimase ferreo nelle sue decisioni e anzi implementò questa politica per ostacolare l’uso di Cannabis istituendo la DEA un istituto federale per combattere il traffico e l’uso della droga. La DEA, che beneficiava delle più recenti tecnologie come il controllo delle conversazioni telefoniche private, ben presto divenne un modo per controllare minoranze etniche e chiunque assumesse posizioni sgradite alla Casa Bianca.

Se da un lato quindi la politica americana si mostrava molto repressiva su questa tematica, dall’altro l’uso della Marijuana cominciava ad estendersi non più solo fra i giovani ma anche fra le classi sociali più abbienti. Fu infatti proprio negli anni ’70 che cominciarono a proliferare movimenti attivisti che chiedevano la decriminalizzazione della Marijuana. Fu lo Stato dell’Oregon, nel 1973 a decriminalizzare per primo l’uso della Marijuana. Sarebbe stato seguito da altri 10 stati in pochi anni.

Quando Nixon si ritirò dalla scena politica, il democratico Jimmy Carter, che gli successe alla presidenza, adottò posizioni più miti. Pur schierandosi apertamente a favore della legalizzazione della Marijuana, tuttavia, non riuscì a fare molto nei suoi 4 anni di presidenza e quando salì alla Casa Bianca di nuovo un repubblicano, Regan, la lotta alla Marijuana riprese con più energia di prima. La situazione non migliorò affatto nemmeno con John H. Bush che grazie alla DEA, divenuta ormai una vera e propria macchina del terrore, potenziò le misure contro la Marijuana.

Furono riposte molte speranze quindi sul democratico Bill Clinton ma anche quest’ultimo durante gli anni di presidenza, lasciando tutti sorpresi, continuò a battersi contro la Marijuana e il suo primo ministro Jane Reno arrivò a minacciare di revocare le licenze ai medici che avessero prescritto la Cannabis a scopo terapeutico.

Alla fine del mandato di Clinton, con George W. Bush la situazione restò invariata e si dovette aspettare l’elezione del Presidente Obama per subodorare qualche cambiamento. Tuttavia nessuna vera misura a favore della Marijuana è stata realmente presa e anzi, quando nel 2010 la California si batteva per la Proposition 19, con la quale si proponeva per le persone maggiorenni, di normalizzare il possesso di Marijuana fino a un’oncia, quasi 30 grammi, come pure la coltivazione delle piante in vasi per un massimo di circa 2,30 metri quadrati, la Casa Bianca ricordò che la pianta continuava a rientrare fra le droghe pesanti. Parallelamente in Europa la situazione cominciava a cambiare. Il caso più noto è ad esempio quello dell’Olanda dove lo Stato si occupa più di combattere i trafficanti che i possessori e i consumatori. L’esempio più ardito arriva però dal Portogallo che ha deciso di decriminalizzare l’uso di qualsiasi droga dal 2001. Se un consumatore viene fermato, gli viene richiesto di presentarsi presso una commissione speciale per le droghe dove gli verranno spiegati i rischi e offerte, nel caso delle droghe pesanti, le cure e dove non dovrà preoccuparsi di affrontare il rigido sistema giudiziario che invece utilizzano altri Stati.[7][


[1] Jonathan P. Caulkins, Angela Hawken, Beau Kilmer, Mark Kleiman Drug Policy: What Everyone Needs to Know-Oxford Press

[2] http://news.bbc.co.uk/2/hi/programmes/panorama/4079668.stm

[3] https://www.seniorstoner.com/education/anslinger-hearst-rockfeller-cannabis-history

[4] The Pot Book: A Complete Guide to Cannabis – Editore Julie Holland

[5] Larry “Ratso” Sloman, Reefer Madness: A History of Marijuana – St. Martin’s Press, 1998

[6] Https://nyamcenterforhistory.org/2015/04/25/marijuana-regulation-the-laguardia-report-at-70/

[7] https://www.drugsandalcohol.ie/24525/